Molti ora ri-parlano dell’unità d’Italia. Sarà la crisi del governo Berlusconi, sarà la chimera del federalismo, sarà semplicemente il 150esimo con le sue opportunità di lavori a termine, ma anche su questo si sta sviluppando la solita lotta per bande con cascami di tutti i tipi. Può essere poi che io, da figlio di un istriano che non è stato certo favorito dai disastri italiani, sia suscettibile.
Comunque in fila longobarda (come direbbe Brancaleone) tutti si accodano. Due eventi legati al cinema mi spingono a buttare giù delle righe di sfogo, in buon stile patetico. Ho visto Noi credevamo di Mario Martone e ieri Mario Monicelli si è suicidato.
La televisione ha fatto moltissimo per ri-fondare l’Italia una o due volte; ma, dopo l’epoca delle stragi e delle Brigate Rosse, ai miti della prima fase mediatica (quelli di quando ero bambino) si sono sovrapposti livelli e livelli di altre cose: aggiunte ingombranti che hanno mutato o sopito gli interessi del pubblico nei confronti della propria storia, anche quella più risibile.
Cosi i film che guardavo a getto continuo da bambino sono svaniti dai palinsesti; anzi per vedere i capolavori di Monicelli o quelli del primo Kubrick bisogna aspettare funerali e consimili.
Si fa sentire. la mancanza di un’ enciclopedia storica attuale, che passi in televisione per dare qualcosa in più della gnocca in salsa politica. Secondo me occorre un racconto nuovo e corretto della storia di questo paese. Ovviamente ci sono eccezioni eppure il fastidio è totale, e torna a gola ogni volta si semplifichi o si trasformi una cosa in un’altra, come la Maremma tramutata in pampa Argentina di una recente fiction.
Quando si è figli di un uomo in esilio ci si attacca al posto dove si nasce, e che nel caso mio è ancora più uterino, perche legato a mia madre. Così per me essere italiano, o avere un passaporto italiano, passa soprattutto per Firenze, mia madre e suo padre, mentre i parenti di mio padre vivono nell’Istria croata, a Vienna o negli Stati Uniti. La Firenze di mio nonno Giulio Brilli è comunque tramontata. Mi chiedo cosa direbbe ora se fosse vivo uno che è stato ardito nella prima guerra mondiale, che da socialista divenne fascista antimonarchico, che si aspettava da Mussolini una rivoluzione che non venne. Mai.
Apprezzo Martone visto che ho amato Morte di un matematico napoletano: film che uscì in un momento di forte cambiamento della mia vicenda personale di fiorentino in America, di storico dell’arte che voleva tornare a casa, a Firenze appunto. Questo film invece è bello, ma ho provato fastidio e ho guardato alle vicende di questi mazziniani del Sud con una partecipazione difficoltosa. La fotografia è bella, le ricostruzioni precise, gli attori bravi. La rivoluzione non è venuta, difatti. Mi sono commosso solo a sentire le canzoni dei garibaldini, trasferendo arbitrariamente il ricordo di mio nonno Giulio in quel momento. Perchè io so che fu la retorica, il mito del risorgimento a farlo partire volontario, e magari a sparare addosso al padre del suo futuro genero. Questi per altro era figlio di un altro Vosila che aveva combattutto le guerre italiane per gli Asburgo; era un uomo che si esprimeva in veneto ma ancor più spesso nel dialetto croato dell’Istria, che se doveva leggere qualcosa leggeva in tedesco, lingua (o espressione culturale?) che poi usava con subalterni e superiori nell’esercito imperialregio.
Molti personaggi di Monicelli fanno ridere, perche piangere di quei figuri vorrebbe dire piangere dei nostri clan, delle nostre tribù d’italiani, con le loro povertà e ricchezze malformate.
I personaggi di Martone sono solo tragici e mettono in soggezione, perche se il complesso delle passioni, delle aspirazioni e dei risultati fu solo quanto sintetizzato dal suo film i tanti morti dalla prima guerra mondiale alla resistenza , persino alla bombe della nostra epoca sarebbero il frutto amaro di un’ occasione mancata. Un disastro per chi, come molti in Istria, voleva soltanto starsene in pace a guardare il mare e parlare un poco in croato, un poco in tedesco e soprattutto in italiano
Comunque in fila longobarda (come direbbe Brancaleone) tutti si accodano. Due eventi legati al cinema mi spingono a buttare giù delle righe di sfogo, in buon stile patetico. Ho visto Noi credevamo di Mario Martone e ieri Mario Monicelli si è suicidato.
La televisione ha fatto moltissimo per ri-fondare l’Italia una o due volte; ma, dopo l’epoca delle stragi e delle Brigate Rosse, ai miti della prima fase mediatica (quelli di quando ero bambino) si sono sovrapposti livelli e livelli di altre cose: aggiunte ingombranti che hanno mutato o sopito gli interessi del pubblico nei confronti della propria storia, anche quella più risibile.
Cosi i film che guardavo a getto continuo da bambino sono svaniti dai palinsesti; anzi per vedere i capolavori di Monicelli o quelli del primo Kubrick bisogna aspettare funerali e consimili.
Si fa sentire. la mancanza di un’ enciclopedia storica attuale, che passi in televisione per dare qualcosa in più della gnocca in salsa politica. Secondo me occorre un racconto nuovo e corretto della storia di questo paese. Ovviamente ci sono eccezioni eppure il fastidio è totale, e torna a gola ogni volta si semplifichi o si trasformi una cosa in un’altra, come la Maremma tramutata in pampa Argentina di una recente fiction.
Quando si è figli di un uomo in esilio ci si attacca al posto dove si nasce, e che nel caso mio è ancora più uterino, perche legato a mia madre. Così per me essere italiano, o avere un passaporto italiano, passa soprattutto per Firenze, mia madre e suo padre, mentre i parenti di mio padre vivono nell’Istria croata, a Vienna o negli Stati Uniti. La Firenze di mio nonno Giulio Brilli è comunque tramontata. Mi chiedo cosa direbbe ora se fosse vivo uno che è stato ardito nella prima guerra mondiale, che da socialista divenne fascista antimonarchico, che si aspettava da Mussolini una rivoluzione che non venne. Mai.
Apprezzo Martone visto che ho amato Morte di un matematico napoletano: film che uscì in un momento di forte cambiamento della mia vicenda personale di fiorentino in America, di storico dell’arte che voleva tornare a casa, a Firenze appunto. Questo film invece è bello, ma ho provato fastidio e ho guardato alle vicende di questi mazziniani del Sud con una partecipazione difficoltosa. La fotografia è bella, le ricostruzioni precise, gli attori bravi. La rivoluzione non è venuta, difatti. Mi sono commosso solo a sentire le canzoni dei garibaldini, trasferendo arbitrariamente il ricordo di mio nonno Giulio in quel momento. Perchè io so che fu la retorica, il mito del risorgimento a farlo partire volontario, e magari a sparare addosso al padre del suo futuro genero. Questi per altro era figlio di un altro Vosila che aveva combattutto le guerre italiane per gli Asburgo; era un uomo che si esprimeva in veneto ma ancor più spesso nel dialetto croato dell’Istria, che se doveva leggere qualcosa leggeva in tedesco, lingua (o espressione culturale?) che poi usava con subalterni e superiori nell’esercito imperialregio.
Molti personaggi di Monicelli fanno ridere, perche piangere di quei figuri vorrebbe dire piangere dei nostri clan, delle nostre tribù d’italiani, con le loro povertà e ricchezze malformate.
I personaggi di Martone sono solo tragici e mettono in soggezione, perche se il complesso delle passioni, delle aspirazioni e dei risultati fu solo quanto sintetizzato dal suo film i tanti morti dalla prima guerra mondiale alla resistenza , persino alla bombe della nostra epoca sarebbero il frutto amaro di un’ occasione mancata. Un disastro per chi, come molti in Istria, voleva soltanto starsene in pace a guardare il mare e parlare un poco in croato, un poco in tedesco e soprattutto in italiano
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